Con la scusa di un caffè

Una di quelle sere.


1

Era una di quelle sere. Faceva un caldo assurdo, incomprensibile per quella notte di Maggio, e Dante non poté fare a meno di afferrare la prima maglietta dalla sedie ed uscir. Era una di quelle sere e chiuso lì dentro sarebbe ammattito.

Il Quartiere periferico era deserto, in strada rimbombava il suono della sua camminata irregolare. Ogni passo faceva pulsare il nervo di un suo dente poco curato. Si rilassò soltanto ritmando i suoi passi con le prime note di wish you were here, e salì in macchina.

Partì spedito, diretto non si sa bene dove, era distratto, e teneva il telefono e la leva del cambio con una mano, il volante e una sigaretta con l’altra. La sigaretta aveva un sapore terribile, non riusciva quasi ad aspirarla, forse era vecchia, forse era per il caldo. Tentò di gettarla fuori, ma il finestrino era chiuso e in un istante i polpastrelli gli bruciarono in una pioggia di scintille. Inchiodò senza neanche guardare nello specchietto retrovisore, e nel tentativo di spegnere il mozzicone suonò il clacson, ma poi tornò il silenzio della notte. E pianse. Pianse a lungo, con una espressione stupida, gemendo con degli strilletti imbarazzanti.

Era una di quelle sere.

Sul vetro dell’abitacolo accanto a lui, sentì tamburellare quattro note, re si sol mi. Alzò gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con Cedric, che lo fissava senza espressione. Il ragazzo fece il giro dell’auto, e aprendo la portiera dal lato del passeggero entrò nel posto accanto a Dante “Avvertimi prima, coglione” grugnì “Non pensare che possa scendere ogni volta che uno suona il clacson”.  “Cazzo” fu l’unica risposta di Dante, ancora con gli occhi gonfi, ma poi tentò di riprendere la sua aria sicura. Il colpetto di clacson era stato solo un errore, ma non aveva voglia di discutere. “Scusami, volevo mandarti un messaggio ma stavo pensando ad altro.” mentì. Cedric non lo guardava e si infilò un dito nel lobo dell’orecchio, privo di dilatatore. Rimasero in silenzio, finché l’ospite non prese dalla tasca una bustina bianca con della cocaina, che divise in due strisce sullo schermo del telefono. La porse a Dante insieme a una banconota arrotolata. Dante rimase fermo, non ne aveva voglia. Cedric, spazientito, era fermo con le mani protese come per offrire una comunione, disse soltanto “cosa ti serviva?”.  Un attimo di esitazione, poi Dante si sporse, e pensando “Ah, se tu fossi qui”, si chinò sulla cocaina e rispose: “Tutto”.

2

Guidava spedito e si curò poco dei semafori. Era diretto al Clubbino, e si sentiva particolarmente in forma. Non pensava più a lei, forse. Alzò il volume del autoradio anche se il Cd funzionava male, saltò il pezzo dance, saltò il pezzo lento, saltò un altro pezzo lento, e si fermò, come al solito, sul re si sol mi del reef di Wish you were here. In pratica ascoltava solo quella. “Ah se tu fossi qui, stronza”.

Arrivato in città, parcheggiò sbadatamente e, camminando a passo sicuro, si diresse verso il Clubbino, in cerca di compagnia. Percorse tutta Via Pietrapiana in pochi minuti. In Piazza San Pier Maggiore c’erano le solite americane sguaiate davanti al Lion’s, “Bene a sapersi” pensò, “più tardi potrei venire a raccogliere i resti”, ridacchiando da solo, stupidamente. Incrociò lo sguardo di una tipa biondissima, con un vestitino tutto giallo e dei sandalini di pelle che non donavano per niente alle sue caviglie tutt’altro che magre. Dante mise una mano in tasca per ostentare sicurezza, e la guardò negli occhi, ma si distrasse quando con le punta delle dita sentì la pallina di cocaina messa al sicuro tra due pillole. Erano tre pillole all’inizio ma al semaforo ne aveva ingoiata una, totalmente all’oscuro di cosa Cedric gli avesse dato.  La bionda sorrise, ma Dante non se ne curò molto, adesso pensava a farsi un altro colpo, e notò gli antipatici baffetti biondi della ragazza. Passò oltre, deviando il suo percorso per Via del Crocifisso e amen, si sedette sul marciapiede tra due macchine e si preparò un’altra riga, appoggiando la schiena al motorino parcheggiato li sopra. “Meno puzza di piscio del solito” si rallegrò, ma la marmitta dello scooter era ancora calda, già quella città era un forno… doveva muoversi e togliersi da lì. Sniffò.

Controllandosi le narici allo specchietto del Liberty sentì un formicolio ai piedi. Chissà che diavolo gli aveva dato Cedric. Poi fissò le pupille mettendo a fuoco non il suo occhio verde, ma la scritta fatta con un Uniposca bianco sullo specchietto, quasi completamente sbiadita. “Ti vedo” c’era scritto. E riconobbe la sua scrittura, riconobbe lo specchietto e il motorino. Era il motorino di Violante. Lo squarcio sul tessuto della sella non poté che confermarglielo. Violante era lì da qualche parte.

Ripensò a una di quelle sere. Una sera in cui lei gli aveva detto che sarebbe uscita con dei colleghi, ripensò al suo attacco di gelosia, alle urla e al rivangare il loro passato e i loro errori. Discussioni che ogni tanto tornavano a galla come pietra pomice. Ripensò a quando gli sembrò una buona idea lasciarla in casa a prepararsi e andare al bar a farsi qualche amaro. Ripensò infine a quanto gli fosse sembrata un ottima idea scrivere sullo specchietto del motorino “ti vedo” come monito per la serata.

Guardò a destra, a sinistra, e poi di nuovo a destra. Dove poteva essere? Si sentiva così in forma, era la serata perfetta per rivederla e per farle capire l’errore che stava commettendo. Non vide nessuno, ma era a due passi dal Piccolo Teatro, non poteva che essere lì.

 

3

Entrò nel locale minuscolo, pochissima luce, musica potente e nessuna faccia nota. Ordinò un Gin Tonic, e appoggiato al bancone tentò di abituarsi alla penombra. Era agitato.

Passarono i minuti e Dante faceva sempre più fatica a stare fermo, la roba di Cedric funzionava una meraviglia. Continuava a guardarsi intorno come un segugio, quasi annusava l’aria. Solo odore di alcool stantio riversato sul pavimento, nessun odore di Violante. Aveva veramente annusato l’aria sperando di sentire il suo profumo, povero coglione. Ma la sua attenzione venne colpita da un golfino appoggiato sul divanetto a pochi passi da lui. Un golf a righe gialle, nere e rosa. Sembrava proprio il suo. E la immaginò con solo quello indosso che usciva dalla camera. Ingoiò la seconda pastiglia. I The Strokes sparati forti cantavano “Met me in the bathroom” e Dante sgranò gli occhi e pronunciò ad alta voce “In Bagno!”. La morettina accanto a lui con un rossetto nero e i capelli a caschetto si voltò e sorrise, ma lui la scansò e si diresse sicuro verso la toilette.

 

Dal bagno si sentivano bene i bassi della gran cassa, ma le parole della canzone non si distinguevano più. Al lavandino c’era un tipo, un altro era in attesa di entrare nel gabinetto. Dante non aveva nessuna intenzione di aspettare e tentò di girare la maniglia. Violante era sicuramente lì dentro. “Violante!” urlò battendo il pugno sulla porta, “Che cazzo fai” rispose il tipo in attesa. Dante lo guardò, era un tipo poco raccomandabile, ma lui era in una di quelle sere, non lo impensierì minimamente. Colpì ancora la porta ammaccando la lamina di metallo con la scritta “WC”.  Nell’antibagno entrò anche la moretta di prima, quella del rossetto nero, con un bel sorriso inebetito. “oh diavolo non ora” pensò. Lei invece era convinta di aver avuto un invito per una sveltina in bagno, magari con una riga in regalo.

La porta del gabinetto si aprì e uscì una coppia. Lui era veramente enorme. “Che cazzo fai” disse quello e con la sua grande manona gli prese la testa e gliela schiacciò contro il muro. “devi stare calmo, stronzo”. Per sua fortuna se ne andò. La tipa non era Violante.

Non sentì più la musica, lo zigomo gli sanguinava e dal cesso se ne erano andati tutti, anche la morettina. Uscì anche lui.

 

Stavano mandando un pezzo dei King of Leon, Radioactivity. Il golfino non c’era più e lui era completamente fatto.

Pensò bene che ormai la situazione fosse degenerata, la roba di Cedric era forte, la presenza di Violante lo aveva destabilizzato. Il Clubbino lontano. La sua meravigliosa idea fu quella di lanciarsi contro l’energumeno del bagno e sferrargli un pugno in testa. Probabilmente non sufficientemente forte. E ne prese tante. Non sentiva dolore, “Grazie Cedric” . Venne sbattuto fuori come un sacco dell’immondizia e si ritrovò riverso sul selciato a fissare il cielo. Il cuore batteva forte, poi rallentò e prese il ritmo del pezzo che stavano mandano dentro, quel re si sol mi che lo ossessionava. “Se tu fossi qui” pensò. Chiuse gli occhi sperando che passasse anche quella sera lì.

chicco di caffè (17)


“comunque ho scoperto che i pinguini del capo possono stare insieme tutta la vita, quindi se ci riescono i pinguini…..

al diavolo l’anello, adesso ho deciso che voglio un ramoscello di baobab.”

Caffè e resurrezioni


Dal naso di Marcèl colava di tutto. Lo capì guardando l’asse del gabinetto impiastricciata da una sua goccia di sangue, dopo che per un paio di volte aveva provato a tirare su col naso, mentre pisciava e si specchiava il pisello sul pulsante cromato dello sciacquone.

Dal naso di Marcèl colava muco, perchè prima uscire  l’aveva scopata tutto il pomeriggio, e aveva avuto un paio di orgasmi più intensi del normale, che gli avevano tolto la forza di vestirsi o di coprirsi con il lenzuolo viola la schiena sudata. E adesso era raffreddato.

Dal naso di Marcel colava muco e cocaina. E il mix di muco e cocaina lo avevano portato, a suo malgrado, a un naso che colava muco, cocaina e sangue. Perchè quella cocaina era forte e   il muco post orgasmo gli aveva fatto capire alcune cose su Shoshanna,  quindi  era diventato molto più aggressivo del solito, e poco prima,  oltre a dare qualche cazzotto assestato bene, ne aveva ricevuti un paio altrettanto decisi.

Pisciava, tirava su col naso, fumava e respirava con cautela, per farsi passare  la botta di adrenalina portata dalla rissa del venerdì sera, e vabbé , dalla cocaina.

Si sentiva coglione Marcèl. Perchè aveva preso un pugno, perchè si specchiava il cazzo, e perchè non era piu libero nei sentimenti. E se ne stava chiuso nel cesso di un pub dal nome ricercato, per prendere tempo.

Non è vero un cazzo

Marcel si sentiva coglione perchè nella rissa gli avevano fottuto il telefono. E lui c’era cascato in pieno. Il naso avrebbe smesso di colare ma dentro quel telefono costoso c’era di tutto.Presente e passato. Ed era stato abbindolato come il peggiore dei fessi.

Era un gran sollievo per Marcèl stare tutto fatto nel cesso di quel locale dal nome ricercato. Perchè il naso spezzato gli aveva fatto provare qualcosa di diverso che non fosse quell’amore spietato per Shoshanna. E grazie  a dio gli avevano fottuto il telefono e adesso non aveva piu nessun legame col suo vischioso passato.

Questo pensava

Ma poi mentre si specchiava il cazzo e si puliva il naso dalla merda varia del venerdi sera, sentì vibrare qualcosa nella tasca posteriore dei jeans.  Quella merda di telefono. Quella merda di telefono che lo tratteneva ancora al suo passato.  Non avevano fottuto niente quelli stronzi.

Dal naso di Marcel colava di tutto, e con calma metodica ed esperta, strappò un lungo pezzo di carta igienica non molto soffice, e senza prestare attenzione al sangue che sporcava l’asse del cesso, ci rinvoltò il telefono dentro, e lo gettò nel cestino.

Dal naso di Marcèl colava di tutto, perchè il suo corpo si stava spurgando dalla sua rabbia e dal suo animo nero. Aveva anche iniziato a sudare, perchè anche la sua pelle si stava lavando dalla sua sporcizia. Le tasche dei suoi jeans adesso erano vuote e pronte ad accogliere qualcosa di più interessante che un telefono. La vescica avevo spurgato tutto il whisky. E rideva come un ubriacone quando si accorse che nel pulsante cromato dello sciacquone ci si poteva specchiare il pisello.

Bussarono alla porta, era il momento di uscire. Non era un caso se quello era il primo giorno di primavera.

Era il primo giorno di primavera, il momento perfetto per cambiare muta, il giorno perfetto per dimenticare il passato.

Domani il suo naso colerà per l’allergia da graminacee e non più per i cazzotti e per la cocaina. E domani avrà tra i piedi molte meno persone inutili. Perchè tutto rimaneva dentro quel cesso. Sull’asse del gabinetto o dentro il cestino rinvoltato in carta igienica per niente soffice.

Fuori l’aspettava un’altro sballo.

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chicco di caffè (16)


“credevo che  pulire il frigo distendesse i nervi. I movimenti cosi Zen di svuotare, spruzzare, sfregare, sciacquare e riempire mi hanno sempre dato quel senso di sollievo da sabato mattina. Poi oggi ho letto la composizione chimica del mio Winni’s multiuso, e ho capito che la soluzione ai miei nervi tesi si chiama Bitrex (Denatonium Benzoate).”

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chicco di caffè (15)


Decise di amarla dopo il dolce, prima del caffè.

Lei dormiva nel suo letto, con la sua camicia aperta, senza mutandine. E profumo buono. Lo stesso profumo che era rimasto sulla barba di lui.

La guardava dormire perchè lui non dormiva più da giorni. Non dormiva da dopo il dolce, prima del caffè. Occhiaie e sospiri. Era bello averla li, che respirava piano, e che sognava il mondo.

Ma era l’ultimo giorno di quel letto occupato, e fu costretto a riaprire il barattolo dell’ikea pieno di razionalità che aveva lasciato  impolverarsi sull’ultima mensola, e smorzare il gusto intenso del suo caffè mattutino senza pensare troppo alla pioggia

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chicco di caffè (14)


In realtà nella stessa ora in cui solitamente cavalcava i vizi della notte, si svegliò

e fu triste

poi, triste per esserne triste

ma poi non ci pensò più

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il distributore di caffè sintetico


Sta andando già tutto un po’ più veloce del solito. Cerco di rimanere indifferente, ma davanti al mio muso c’è Rip che mi guarda, piuttosto assente, con un dito nel lobo dilatato privo di dilatatore. Mi dice ciao victor e mi chiede cosa mi serve, io guardo la bava bianca nell’angolo della sua bocca e gli rispondo tutto. Mi fa l’elenco, che non ascolto, perchè pronunciando una r eccitato mi sputa prendendomi sul labbro inferiore. Tiro fuori delle banconote colorate e scambiamo i contenuti delle nostre tasche. Scende soddisfatto dall’abitacolo rubandomi un pacchetto di sigarette, ma, povero coglione, è vuoto. Il suo puzzo di sudore mi farà compagnia per tutta il tragitto. Annullo il silenzio ermetico e schiaccio play. Il cd salta un pò ma dovrebbe essere fearless, perche in fondo ascolto solo quella, quindi senza paura alzo il riscaldamento e parto sbattendo le ciglia frenetico sperando che mi si inumidiscano un po di più le lenti a contatto.

Sembra che la musica provenga direttamente dalla mia testa, invece dopo circa venti minuti mi accorgo che proviene dalla gran cassa al mio fianco. Ma sento comunque ciò che mi dice Zed.   O forse vado a intuito, non so. Tanto parla sempre di quella che si è fatto, di quella che vorrebbe farsi, e di quella che si farà. Non ricordo il motivo ma abbiamo tutti e due le mani occupate da due bicchieri. I miei drink sono più chiari. I suoi più finiti. Credo che questi dettagli siano accentuati dalla roba di Rip, che finalmente sale. Senza sapere cosa fosse. ero distratto.

La pista è appiccicosa, forse per il prosecco che è caduto a quella banda di indemoniati o per qualche altra merda, ma il fatto è che il pavimento sta stingendo e ho le scarpe e i pantaloni, quasi fino al ginocchio, sporche di rosso. rosso. Ci penserò  poi, intanto cerco di far trasparire lucidità nonostante la batteria atomica che sta facendo una jam session nella mia testa, e cerco di essere piu arrapante possibile nei movimenti perchè voglio scopare qualcosa. E’ la terza volta che il negro vestito bene mi dice di non fumare nel locale, questa volta prendendomi per il collo, ma non mi sbatte fuori. Lo apprezzo.

Prendo una pausa e mi chiudo nel cesso. Non so se sto cagando perchè voglio giocare a ruzzle o se sto giocando a ruzzle in attesa di cagare. E divento nostalgico. Un tempo avrei cagato leggendo topolino. Le lenti si appiccicano e do colpa a questo quando perdo la partita. E sono deluso.

Proprio mentre mi sto vantando con me stesso di reggere il ritmo della serata arriva la ragazzetta che ha tanta grinta, piu di me, e mi scoccia. Ha proprio grinta. Evita tutte le mie puttanate da finto interessato e mi dice che vorrebbe farmi un pompino in bagno con lo stessa enfasi di Zed quando parla di volersi fare un kebab con tanta cipolla. La guardo con ammirazione, ma inizio a preoccuparmi quando vedo che nei lati della sua faccia languida ci sono dei dettagli sfuocati che vanno e vengono. Sembra che manchi il segnale del digitale terreste. Il resto si vede bene, il suo viso no. Vai a capire Rip che cazzo mi ha dato.

Non avevo voglia di andarmene, ma tra la folla era spuntata l’altra, che sapevo fosse li, ma non immaginavo che mi cercasse in quel modo, come un segugio, ringhiante. Ho giocato per circa un’ora a rimpiattino, ma poi stufo ho mollato. Quindi mi ritrovo ancora in macchina col telefono in mano e il puzzo di sudore nel naso.

Merda, i secondi vanno velocissimi, e non vedo più niente se non mi tolgo le lenti. Allora intanto mi tolgo dalle palle, poi tornerò e ripartirà la mia rabbia. Guido fino a casa. Adesso è tutto molto piu lento. Lento, calmo, noioso, piatto. Play

Devo ammettere di essere un po’ confuso.A volte ho l’impressione che mi stiano solo usando.Devo stare sveglio, devo cercare di scuotermi di dosso questo malessere strisciante.Se non sono forte nemmeno con me stesso,come potrò trovare l’uscita da questo labirinto.Sordo, cieco e muto, continui a far finta che tutti siano sacrificabili e che nessuno abbia un vero amico.E credi che la cosa giusta da fare sia emarginare il vincitore E tutto viene fatto alla luce del sole.E sei convinto che per natura tutti siano degli assassini.

Salgo gli scalini barcollante, non vedendo un cazzo, sentendo ancora tanta musica, stropicciandomi gli occhi. Lascio cadere la giacca a doppio petto nell’ingresso e accendo la luce lanciandomi allo specchio. Cerco di mettere a fuoco la mia faccia, ma la lampadina si deve ancora scaldare e i miei occhi bruciano.

Vedo qualcosa, sono gonfio, sono andato a male. Passo i miei indici sudici e appiccicosi sulla mia cornea con poca delicatezza. Occhi iniettanti di sangue. Gonfi. La consapevolezza dell’assenza di lenti a contatto arriva in concomitanza alla lacrima ricca di globuli rossi.

Allora penso posso tornare al locale  ma svengo sul divano e la musica si interrompe bruscamente, finchè non suona la sveglia e dice che il mondo vero ci aspetta. E che ci ha piegato al suo volere.

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chicco di caffè (13)


diciamo che questa storia ha varie evoluzioni.

La posizione iniziale del protagonista doveva essere : posizione fetale, nudo, sul letto della camera sporca, e una discreta dose di silenzio intorno. Aggiungendo forse qualche singhiozzo sommesso. Perchè tutto stava cadendo a pezzi. O almeno era quello che provava.

Lontananze, sigarette, amori non corrisposti, sfasciacarrozze,occhi gialli, social network, equitalia, docce, fiaschi di vino, e lutti.

tutto molto tragico. Ma piu che tragico, triste. Ma piu che triste, vero.

Solo che la sequenza fu inversa, e sconfusionata.

Gia dopo fiaschi di vino, subì una brusca interruzione. Sigarette sigarette sigarette.

Social network. E social network nel mondo moderno voleva dire scopare.

E fiaschi di vino poteva portare direttamente a posizioni fetali, nudo nel letto. Invece portò a occhi gialli, e una sbronza colossale.

Magari viene, magari no. Magari torna, magari no. Magari non indossa le mutandine.

Pensavo fosse più tardi.. invece è piuttosto presto.

Posizione fetale la rimandiamo a domani. Fiaschi di vino, andiamo avanti. Social network, andiamo avanti.

e fiaschi di vino porta solo a un sorriso marcio e nessun altra parola. Perchè il protagonista non centra piu  i tasti, e passa da sorrisi a bronci, troppo velocemente, decidendo che era il momento giusto per

 

 

 

 

.

chicco di caffè (12)


Da quando il giudice aveva accettato la scarcerazione, dormiva di merda. Trenta giorni di limbo.

Aveva segnato sul muro con un chiodo arrugginito trenta barrette verticali, da spuntare ogni mattina. Il suo personale calendario dell’avvento, che si sarebbe concluso con la sua nascita. Forse ri-nascita.

Lì, a rigirarsi sulla branda, contando le giornate di 32 ore, i minuti di 78 secondi. Rideva quando sentiva dire che dopo 28 anni di carcere non avrebbe saputo come fare la fuori. “fatemi uscire e poi vediamo”.

ma in fondo quell’ultimo mese, anche se percepito di 52 giorni, sarebbe passato.

Tutto sta nel giudice.

 

senza paura, con caffè


“Dici che la collina è troppo ripida da scalare, mentre la scali
Dici che ti piacerebbe vedermi provare, a scalarla”

Forse non disse proprio così, ma in fondo non importava, era quello che avrebbe voluto sentirsi dire. Probabilmente se gli avesse detto qualcosa di poco coinvolgente (tipo “mettiti il preservativo”) Syd si sarebbe immaginato lo stesso una bella frase ad effetto.

“Tu scegli il posto ed io sceglierò quando
E scalerò la collina a modo mio
Aspetta solo un po’ che arrivi il giorno giusto
E mentre salgo al di sopra della linea degli alberi e delle nuvole
Guardo in basso sentendo il suono
Delle cose che hai detto oggi”

Syd stipulò questo contratto di collaborazione a lungo termine (credendo che una collaborazione a lungo termine potesse avere una pressione fiscale limitata rispetto a tante piccole, brevi, intense collaborazioni a tempo determinato) da solo, a casa, con della bella musica di sottofondo, e con estrema lucidità. Con molto trasporto ma poca irrazionalità. Non il solito Syd di sempre. Ma gli piaceva così tanto quando aprivano la portiera e lo abbandonavano al bordo dell’autostrada. Il posto, il quando, il giorno, le nuvole, il suono delle parole che ha detto oggi.

Il contratto era venuto un gran bene.

“Senza paura l’idiota affrontò la folla, sorridendo
Senza pietà il magistrato si gira, aggrottando le sopracciglia
E chi è lo sciocco che indossa la corona?
Non c’è dubbio a modo tuo”

Syd era l’idiota.

Syd era lo sciocco che indossava la corona

chiaro. a modo suo.

“Ed ogni giorno è il giorno giusto
E mentre sali al di sopra dei segni della paura nelle sue sopracciglia
Guardi in basso, e senti il suono dei volti nella folla”

Fu Syd, dopo essersi riempito il bicchiere di tavernello, che pronunciò quella frase carina del giorno giusto. Parlare di un ipotetico giorno giusto lo rendeva cosi sexy…………

per un cazzo credibile, ma sexy

guarda in basso ragazza del nord del mondo e ascoltala sta cazzo di folla, nel mezzo c’è uno diventato un po più coglione degli altri, che mentre tutti cantano quel coro, pronuncia a bassa voce cose carine.

Anche se il coro che tutti cantano insieme è proprio bello

eh si, quel coglione di syd.. si mette a sussurrare cose carine quando non è il giorno giusto giustificandosi dicendo che ogni giorno è il giorno giusto,  e tutti stanno facendo quel coro cosi bello che dice: you’ll never walk alone.

poi, con il tintinnìo e l’eco di quelle gocce, passa al pezzo successivo. e al bicchiere successivo

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